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Tutto quello che occorrerebbe conoscere sui cinghiali all'Elba (prima di pontificare)

Scritto da  Roberto Barsaglini Martedì, 15 Luglio 2025 10:00

Da qualche giorno, andando a casa, incontro ripetutamente una coppia di cinghiali adulti, seguiti da una dozzina di piccoli, come si può vedere dalla foto. Vi assicuro carinissimi! Ma il “lato oscuro” della vicenda nasconde che, loro malgrado e del tutto inconsapevolmente e incolpevolmente andranno ad incrementare le schiere delle ormai migliaia di ungulati che scorrazzano sulla nostra bella isola e a rappresentare un serio problema (ripeto, a loro insaputa!) per la biodiversità, per l’economia e, ultima ma non ultima, per la sicurezza.
Gli incidenti sono molti e so che in certi casi non arrivano neanche alla cronaca, salvo casi estremi come quello del 1 maggio scorso, dove una persona che conoscevo bene ha perso la vita.

 

Proviamo, per una volta, di andare oltre i commenti “beceri” degli antiparco incalliti (forse non avete ancora capito che il Parco è stato istituito da decenni da un decreto del Presidente della Repubblica per questioni di interesse nazionale e che è regolato da leggi nazionali…), spesso tuttologi da tastiera che non leggono neanche quello a cui vorrebbero rispondere e che, sulla base di preconcetti ormai cementificati, continuano a scambiare caccia e controllo, propongono azioni al limite della legalità o del tutto illegali, formulano le solite accuse di Parco imposto contro il volere popolare, di carrozzone inutile, di ente “puppasoldi” e sperperatore di fondi pubblici.
Ecco bollati come inutili (se non “assassini”) progetti di rilevanza europea come quelli di derattizzazione di Montecristo e Pianosa, di eradicazione del muflone al Giglio: interventi “tristi” e fallimentari, fatti in modo approssimativo o addirittura sbagliato, anche se, se si volesse, ci si potrebbe facilmente informare sui ritorni positivi di tali azioni, ormai verificati e documentati.
Il Parco è diventato l’unico responsabile di tutto ciò che di negativo avviene sulle nostre isole: ora rifugio per cinghiali e mufloni, ora inerte (e quindi complice) sul dissalatore, ora responsabile della gestione dei rifiuti sul territorio, ora dell’utilizzo del gasolio a Gorgona,… Un Parco onnipotente che però, chissà per quale recondito motivo, non interviene come dovrebbe. Eppure, basterebbe informarsi meglio sui soggetti dei quali sono le responsabilità e le competenze (poi, però, dopo le sorprese se ne dovrebbe trarre le adeguate conseguenze, allora è meglio restare sulle proprie credenze…).

 

Ma restiamo sugli ungulati, e in particolare sui cinghiali e la caccia.

 

Si continua ad accusare il Parco di non fare niente, nonostante l’argomento “Cinghiali all’Elba” sia stato oggetto di delibera della prima riunione del Consiglio Direttivo del Parco nel lontano 1997, poi nel 2000 e nel 2002:
(“...attivare le procedure per giungere all’eradicazione del cinghiale…”),
e ancora nel comunicato stampa dell’agosto 2011:
(“Il Parco propone, come ebbe già a deliberare nel 2000, non il contenimento dei cinghiali con cui è sempre più evidente è impossibile convivere ma l’eradicazione completa di tutti i cinghiali dell’isola d’Elba in quanto animali estranei alla fauna locale e la cui presenza, come dimostrato, è in crescita indipendentemente dall’area protetta. L’impatto del cinghiale sulle specie di fauna e flora autoctone che il Parco ha il compito di tutelare è ormai insostenibile”), e ai tempi nostri lo Studio di Fattibilità per un piano di eradicazione, che ormai attende solo che la Regione decida in merito.

 

Fu tentato anche l’esperimento della “caccia nel Parco”:
«Durante la gestione Barbetti del PNAT, la sinergia fra PNAT e cacciatori è stata particolarmente operosa, senza, però, che questa situazione generasse alcun risultato importante. Accordi di collaborazione e prelievi eccezionali non hanno sortito alcun effetto duraturo. Chi ritiene che l’attuale situazione sia dovuta al muro contro muro fra PNAT e cacciatori si sbaglia. L’esperienza di buona intesa è già stata fatta, prima da Tanelli e poi da Barbetti e non è la ricetta adeguata a risolvere significativamente la questione (233 capi abbattuti su 500 previsti dall'accordo PNAT-cacciatori. Meno della metà di quanto previsto..)» - Dal Documento “Territorio e biodiversità: cinghiali e caccia all’Elba. Rapporto sulla situazione e scenari possibili: criticità a soluzioni.” - Febbraio 2011 - redatto dal Comitato Eradicazione Cinghiali alla stesura del quale hanno partecipato rappresentanti di una serie di Associazioni elbane, un esaustivo rapporto sull’etologia del cinghiale con un’ampia rassegna stampa sull’informazione scientifica a riguardo, sugli atti dei vari enti e comitati, e sulle notizie riportate sulla stampa, con particolare attenzione a quella locale - tutto ben documentato e con relative fonti citate, a suo tempo messo a disposizione di chiunque volesse scaricarlo e leggerlo.

 

Una cosa che non si deve assolutamente dimenticare è: chi ha introdotto i cinghiali all’Elba? Non vi sono dubbi al riguardo: frutto d’incroci genetici tra razze diverse, spesso centroeuropee, furono introdotti per scopo di caccia solo nel 1963 dopo un’assenza durata più di 150 anni.

 

«La storia delle nuove immissioni di cinghiali all’Elba è stata riassunta in un articolo di Gaetano Riviello: “Sul finire degli anni ’50, il Conte Bossi-Pucci, donò all’allora Comitato Provinciale della Caccia di Livorno alcuni cinghiali di razza mista, maremmana x europea, che immediatamente furono introdotti sui Monti Livornesi e sul Promontorio di Piombino (Borsotti e Arcamone, 1984). Lo stesso ente, agli inizi degli anni ’60, decise di estendere la popolazione di cinghiale nel livornese immettendolo anche all’isola d’Elba dove, come detto prima, era assente. Secondo alcune indicazioni fornite dall’ufficio di polizia venatoria di Portoferraio furono liberati tre esemplari, un maschio e due femmine gravide, nella zona di San Martino. Si trattava d’incroci maremmano x ungherese, acquistati anch’essi all’allevamento del conte Bossi-Pucci. Quasi subito il maschio rimase ucciso, investito da un camion delle miniere, mentre le due femmine riuscirono a partorire. L’esigua popolazione fu accresciuta con l’introduzione di un altro maschio, sempre per opera del Comitato Provinciale della Caccia di Livorno, cui fecero seguito altre immissioni, stavolta da parte dei cacciatori. Un esempio ci viene fornito dalla squadra di Marciana Marina che, nei primi anni successivi all’introduzione, si autotassò di 5.000 lire a testa per l’acquisto di tre femmine già gravide e di un maschio. Il proposito era quello di mantenere chiusa per almeno cinque anni la caccia, dalla prima immissione. L’aumento della popolazione fu tale, però, da richiedere l’anticipazione di tale data poiché l’elevato numero d’animali stava arrecando notevoli danni alle coltivazioni, in particolare a quella della vite. In un articolo comparso il 22 novembre 1975 sulla rivista Diana, intitolato A caccia nell’isola d’Elba, Andrea Brizzi affermava che ripopolamenti con cinghiali sull’isola erano stati fatti anche nel 1968 e che erano stati finanziati dai cacciatori stessi. Nel 1975 la caccia al cinghiale all’Elba era aperta dal primo ottobre al 15 gennaio, tutti i giorni all’infuori del martedì̀ e del venerdì̀. […] Nel 1989, sempre secondo Riccardo Benini, che in quell’anno si laureò in “Scienze forestali” discutendo una tesi sul cinghiale presente all’Elba, il modo di gestire le popolazioni si basava su immissioni annue operate da quasi tutte le squadre di caccia sull’isola. Tali introduzioni erano state facilitate dal sorgere, nell’entroterra livornese, di numerosi allevamenti gestiti sia da enti pubblici sia da privati, e da altri piccoli allevamenti presenti sull’isola stessa. Due di questi si trovavano a Madonna del Monserrato e nei castagneti sotto Poggio. La loro funzione era quella di rifornire di porcastri le locali squadre di caccia. I gruppetti di giovani cinghiali, rilasciati nella macchia dalle varie squadre, venivano a volte “trattenuti” in loco mediante l’uso di pasture a base di mais e altri cereali.
Ogni squadra eseguiva le proprie immissioni in un’area ben definita, che era quella dove poi di preferenza si recava a caccia. A tale proposito esisteva un tacito accordo tra le squadre che riguardava il reciproco rispetto delle suddette zone. In quegli anni l’isola d’Elba poteva quindi essere paragonata a una sorta di grande allevamento di cinghiali dove, in occasione del periodo di caccia, si uccideva un certo numero di soggetti e altrettanti o quasi erano immessi subito dopo dai cacciatori (Benini, op.cit, 1989).
Le conseguenze di questo stato di cose si sono già̀ accennate: la forte presenza dei cinghiali sull’isola e in tutto il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (2.500 capi, contro una capacità faunistica massima stimata di 700) aveva ormai determinato una situazione insostenibile per i pochi agricoltori rimasti e anche per il Parco stesso (Massoli Novelli, 200171). - Riviello G. Cinghiale, tutta la storia del caso eccezionale dell’Isola d’Elba. 14 giugno 2013» - ancora dal documento del Comitato Eradicazione Cinghiali sopra riportato.

 

Naturalmente dal 2013 ad oggi il numero dei 2500 capi è notevolmente lievitato.

 

Di questi giorni l’intervento dell’ormai ex-presidente Giampiero Sammuri (mentre se ne attende un prossimo competente quanto me a gestire la Banca Europea):

“Contrariamente a quello che pensa chi non frequenta il territorio, i cacciatori fanno di tutto perché nel tempo le popolazioni delle specie che cacciano crescano o quanto meno restino stabili... (……) … E quindi la caccia per contribuire alla conservazione della biodiversità deve cambiare ottica: non avere l’obbiettivo di mantenere popolazioni abbondanti di alcune specie, ma al contrario cercare di ridurle.
Senza la stucchevole ed inutile richiesta di andare a caccia nei parchi: non solo non ce n’è nessuna necessità, in quanto i parchi che lo vogliono e lo sanno fare, hanno l’obbiettivo di un forte contenimento di alcune specie. Al contrario, se non cambia l’approccio dei cacciatori, cacciare nei parchi vorrebbe dire trasferire anche in quei territori l’obbiettivo dell’abbondanza.”

 

E ancora “Vorrei ribadire ancora una volta che, con la caccia, il controllo non c’entra nulla. Infatti riguarda la riduzione numerica (in alcuni casi fino all’eradicazione) di popolazioni animali che, con la loro abbondanza, possano creare problemi alla biodiversità o ad attività umane di varia natura. Questo è talmente vero che il controllo può riguardare, in alcuni casi, anche specie non cacciabili o addirittura particolarmente protette.”

 

Sull’intervento dell’ex-presidente interviene Yuri Tiberto, banalizzando il Piano di Eradicazione presentato:

“… di fatto la tattica di Sammuri assomiglia un po' a quella attuata dal governo cinese durante le drammatiche giornate di piazza Tienanmen...[…] ...Nel nostro caso, assoldare (non so se gratis o a pagamento) cacciatori provenienti dal continente per sterminare Pernici e Fagiani a Pianosa (tralasciando la triste vicenda Lepri...) o gli ultimi Mufloni rimasti al Giglio. E la linea è la stessa anche nel tanto decantato (e costoso, per quanto privo di qualunque reale piano operativo e basato su numeri di fantasia) "Piano di eradicazione" presentato l'anno scorso: 50 cacciatori prezzolati (250€ al giorno per 80 giorni di caccia all'anno per cinque anni) - non è chiaro selezionati in base a cosa, ma se si considera che gli "esperti" redattori hanno caldamente raccomandato che persino le spoglie siano inviate fuori dall'isola... è lecito pensare che non si vogliano coinvolgere cacciatori elbani.”

 

Quindi, le eradicazioni svolte su altre isole, anche più grandi dell’Elba, sarebbero state concepite da “imbecilli” che non avrebbero valutato l’importanza di compiere tali atti e avrebbero sperperato soldi pubblici, senza averne valutato il ritorno sia da un punto di vista della protezione della biodiversità, ma anche di quello economico, visto che hanno messo la parola FINE a interventi di controllo, di risarcimenti e di danni a tutto il territorio?

 

Tiberto prosegue ancora, ancora una volta confondendo caccia e selezione:

“I cacciatori, quindi, autoctoni o alloctoni che siano, risultano comunque determinanti quando si tratta di eradicazione o fortissima riduzione delle popolazioni.
Ma vediamo un po' i costi. In maniera molto approssimativa, possiamo dire che negli ultimi anni il Parco e i cacciatori hanno eliminato circa 1000 cinghiali all'anno, equamente distribuiti. Ma mentre il Parco paga per far gestire le catture (mi pare di aver letto di 260.000€ per l'ultimo anno conosciuto: 2/300€ a cinghiale/muflone?), i cacciatori operano gratis. Nel sopracitato Piano, si ipotizza grosso modo un costo per le finanze pubbliche vicino ai 1000€ a cinghiale. E' logico, quando sappiamo che c'è chi lo farebbe gratis (se non addirittura pagando)?”

 

e ancora:

“Considerando che anche gli esperti non vedono troppe problematiche nell'utilizzo della caccia in braccata per realizzare i piani di eradicazione, verrebbe da dire che la prima mossa da compiere per cominciare a ridurre il problema cinghiali sarebbe quella di autorizzare e organizzare da subito (novembre) una nutrita serie di braccate anche nel Parco…”

 

Come abbiamo visto “cacciare nel parco” è pratica (oltre che illegale!) già sperimentata e che non ha avuto nessun impatto, viste le vere intenzioni dei cacciatori, che hanno tutto l’interesse a mantenere il numero dei cinghiali.

 

E poi: GRATIS! Che bella parola! Anche sul fatto che la braccata non comporti “troppe problematiche” c’è da ridire: un’ampia documentazione scientifica fa notare come la destrutturazione dei branchi (attraverso l’uccisione di maschi e femmine dominanti e non solo) inneschi in realtà un’ulteriore prolificazione del numero dei cinghiali, facendo diventare la caccia un aggravamento, invece che la soluzione del problema (del resto, fino ad oggi, i cinghiali sono forse diminuiti?). In cosa starebbe la gratuità? Cosa sarebbe fatto di diverso da quanto visto finora?

 

Non ritorniamo, per favore, a dire che a causa dell’area protetta si offre rifugio ai cinghiali.
E’ appurato che ogni anno il numero di cinghiali abbattuti dalla selezione nel Parco superi il numero delle prede dei cacciatori.

 

Se si vuole anche da noi mettere la parola FINE ad incidenti, danni al territorio, spese per il controllo e per risarcimenti occorre procedere senza indugio ad una eradicazione praticata con serietà, attingendo ai fondi europei. Già dopo il primo anno l’impatto sul numero sarebbe notevole, richiedendo in seguito interventi più mirati mentre la popolazione va via via riducendosi. Oggi assistiamo, nell’opposizione all’eradicazione, ad una strana commistione tra animalisti e cacciatori: orbene, anche da un punto di vista animalista, nel bilancio finale, si metterebbe fine ad una strage continua che in pochi anni supererebbe ampiamente il numero dei capi eliminati con un intervento definitivo.

 

E non mettetemi tra gli assassini di animali. Ho già detto all’inizio che i cinghiali sono anche loro vittime, vittime loro malgrado delle nostre azioni sconsiderate. Ma la gravità e l’insostenibilità del problema costringe a fare scelte non più ulteriormente rinviabili.
Certo, di fronte a tutto questo rischiamo di farci coinvolgere emotivamente troppo su un fronte o sull’altro, ma mai come in questo caso è necessario agire con razionalità e scientificità, con un progetto serio e realizzabile.

 

Roberto Barsaglini

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Ultima modifica il Martedì, 15 Luglio 2025 10:02

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